Il prof emigrante – Anno III – Parte II – “La fine dell’inverno”

Day 206

La finestra sul cortile

26/03/2019

Conoscete il famoso film di Alfred Hitchcock? Un giornalista, costretto per problemi fisici a restare in casa, da dietro la tenda della sua finestra studia la variopinta umanità che si affaccia nel cortile del palazzo, finendo per indagare su un sospetto omicidio.
Erano altri tempi. Oggi il buon Alfred avrebbe ambientato il tutto su un aereo e magari il titolo sarebbe stato “Il posto 22D”. Il mio posto.
Quindi, su il sipario, facciamoci i fatti degli altri.
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Chi ha dimestichezza con gli aerei, sa che il 22D è un normale posto corridoio della parte centrale dell’aereo. Quando, qualche ora fa, l’ho individuato mentre mi districavo fra gli ultimi passeggeri a salire a bordo, ho visto subito che nelle vicinanze qualcosa non andava.
E’ naturale studiare chi è già seduto nei posti vicini, nella speranza 1) che siano vuoti 2) che non ci sia nessuna delle categorie di passeggeri che in passato ho elencato sul blog.
In questo caso, la prima immagine che percepisco è quella di una donna dai capelli lunghi biondi piegata su se stessa al posto finestrino e un uomo chinato verso di lei, nella fila centrale, che consulta whatsapp mentre finge (?) di consolarla. L’occhio cade sul destinatario della chat: “Giuliana“.
Li ignoro, come in fondo è ormai prassi – si, stiamo diventando tutti delle bestie -, e mi accingo ai saluti di rito sul telefonino, un rituale quasi testamentario che ormai coltivo sin dai primissimi voli della mia vita.
Prima della partenza, con la coda dell’occhio vedo due volte la mano di lei palpare la coscia di lui, che però non reagisce. Temo di aver beccato i fidanzatini.
All’improvviso, colpo di scena: lei inizia a singhiozzare: “lo vedi?” “Da un’ora e mezza cerco di parlare con te” “Sei distante!” E giù a piangere, mentre lui ribatte con un “No, dai, tutto ok“.
Si girano in molti, più o meno sfacciatamente, quando i singhiozzi si fanno più rumorosi. I gemiti si nascondono nei rumori del rullaggio in pista. Io fingo di dormire, lo spazio è davvero troppo ristretto per potermi fare i fatti miei e loro sono troppo troppo vicini.
Lei alterna un “Sempre lei, lo sapevo che ci avrebbe rovinato la…” (penso parlassero di vacanza, ma sento anche parlare di congressi e convention mediche, direttori e pazienti) a sorrisetti schizofrenici guardando le foto al cellulare (“questa è Siracusa“, “Guarda quanto è bella Noto“).
Passa dal pianto alla risata in pochissimi nanosecondi, una bipolarità da guinness dei primati.
Lui spesso farfuglia, sembra molto accondiscendente con lei, come a non volerla contraddire come si fa con i bambini (o con i pazzi). Prova spesso a coinvolgerla in altri argomenti, ma non riesce ad ottenere nulla, finendo per chiudersi in un “Non posso farci niente” che la fa scoppiare in un pianto fragoroso che richiama lo steward, il quale si limita ad un passaggio radente per analizzare la situazione.
Lei per due volte prova ad alzarsi, sbattendo – in totale assenza di controllo – la testa sul vano bagagli. La seconda volta, subito dopo il botto, si rivolge al compagno di viaggio: “E non provare a prendermi in giro! Ricordati che sono una psicologa!“.
“Molto bene”, penso. Composta, razionale e distaccata. Il prototipo della professionista.
Siamo quasi a metà volo e non ho ancora incrociato i loro sguardi, impegnato nel mio finto sonno, quando mi sorprende un rumore inequivocabile. Si baciano. Intensamente.
Poco dopo, lui si stacca da lei (sbattendo su di me)(di spalle, fortunatamente) e le dice: “Hai capito adesso?“. E lei, la psicologa, inizia a fare la voce da cartone animato, chiamandolo in rapida sequenza: “Pulcino“, “Amò” e “Tortellone mio“.
Ricominciano a parlare sottovoce, non capisco cosa si dicano, anche perché il dondolìo del volo inizia a fare effetto e come sempre più frequentemente mi capita, mi addormento come un paffuto angioletto.
Vengo svegliato dal umore di una sberla e, successivamente, da un “sei un animale!“, detto ancora con la voce da gattina che non ti fa capire se c’era offesa o complicità. Sono ancora girati l’uno verso l’altra. Fortunatamente stiamo atterrando.
Raccolgo altre informazioni: lui viaggia spesso per lavoro, lei non sa dove lui vada o con chi vada; programmano le vacanze a L’Avana o a Mikonos (praticamente il giorno e la notte); Lei rinfaccia a lui che non sanno praticamente quando si vedranno la volta successiva. Lei deve alzarsi presto l’indomani “alle undici ho il primo appuntamento, dovrò fare una levataccia“; Lui grugnisce in più di una occasione.
Queste ultime percezioni insinuano il dubbio. E’ lei l’amante? E magari la Giuliana della chat (“Dai, fammi leggere cosa ti ha scritto”) potrebbe essere la moglie.
Silenzio durante le manovre in pista; quasi non si parlano, mentre io riprendo connettività con il mondo esterno. Al momento di uscire, con mossa d’astuzia, mi giro verso di loro e finalmente li vedo in volto.
Lui sui quaranta o qualcosa in più, la mia età, portati maluccio in un viso molto scavato dal tempo.
Lei molto in tiro – anche se con poco successo – dovrebbe averne circa cinquantacinque.
Un’età alla quale si può evidentemente ancora fare la voce da gattina offesa, che stride un po’ con la vaga somiglianza fisica con Amanda Lear.
Sconcertato e sollevato che sia finita, mi avvio verso l’uscita, nella speranza di dimenticarli al più presto possibile.
Loro, però, se ne infischiano delle mie speranze e mi superano; Lui elegante, ed essendo accanto a me lo avevo già notato, lei vestita con i lenzuoloni da Romina Power e delle inguardabili ballerine scoperte rosa, nonostante i 7 gradi fuori.
Agli arrivi di Fiumicino, lui va all’uscita di destra, lei all’uscita di sinistra, la mia.
Lei si ferma e lo guarda allontanarsi. Lui non si volta nemmeno.
Un pacato signore sui sessanta, molto meno giovanile, la sorprende di spalle, le da un bacio, le prende il trolley e le offre un dolce abbraccio, felice di riaverla con sè.
Mentre aspetto la navetta del parking, lei è ancora vicina a me, l’uomo con lei si è allontanato per qualche motivo.
Mi guarda.
la ignoro.
Mi guarda ancora.
“Tu”
“Cosa?”
“Eri seduto accanto a lui”
“Si, posso aiutarla?”
“E’ uno stronzo, vero?”
“Come?”
“Lascia perdere, siete tutti uguali! Vaffanculo anche a te!”
“…”
Il prof emigrante
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NOTE
1) Tutto vero, tranne il nome di Giuliana, inventato per l’occasione.
2) Inizio la settimana in trasferta con un Vaffanculo. Mi chiedo come potrà andare a finire.
3) Non vi mettete a giudicare: se tutto questo fosse successo accanto a voi, avreste ascoltato anche voi.
4) Non dimenticate di farmi sapere cosa ne pensate. I vostri commenti sono l’anima del blog.

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