PREMESSA
Era il lontano 1988, in piena epoca della “Graziella” per le femminucce e della “BMX” per i maschietti, quando di fronte all’impossibilità di mulinare le gambe sulla vecchia e stramaledettamente piccola bici da cross (che rivedendola alcuni giorni fa nel garage dei miei, sembrava tirata fuori direttamente dalle fotografie post Chernobyl), mi comprarono la Mountain Bike.
Una Atala 26, cromaticamente azzardata (viola, bianco, rosso e fucsia), che ha rappresentato per lungo tempo il mio più grande orgoglio da ragazzino, la terza Mountain Bike in ordine cronologico ad apparire nel paese che allora vantava poco più di 5.000 anime, con la quale nelle estati dei sei anni successivi scorrazzavo con gli amici per le strade della provincia di Catania, dall’Etna al mare e ritorno, salutando i miei genitori dopo pranzo e rientrando distrutto la sera, incurante del fatto che altri giravano già in vespa o con i motorini “Ciao” o “Si” (e che ci potevano mettere le ragazze dietro).
Poi arrivarono l’automobile, la maturità e il buio ciclistico calò sulla mia vita. La bici in garage iniziò a raccogliere ragnatele e qualche sporadica passeggiata in paese, nelle rare occasioni in cui un sussulto di orgoglio (o una sentenza della bilancia) mi smuoveva dalla sempre più comoda sedia del computer.
In queste rare occasioni, soprattutto ultimamente, la mia presenza non passava certo inosservata. In un’epoca il cui il ciclismo amatoriale è più che mai di moda e i ragazzini come il vecchio me sono spariti dalle strade per lasciare il posto a sciami di ciclisti over35, ipertecnologici ed equipaggiati al meglio, io rappresentavo ancora il buffo personaggio che osava andare in tuta e il cui rumore della catena si sentiva a decine di metri, soprattutto se decidevo di cambiare marcia, utilizzando uno dei soli quattro rapporti – su 18 originari – che mi erano rimasti, o addirittura passare alla corona grande, momento in cui lo SKRATACKTRAN del mio vecchio cambio Shimano si amplificava oltremisura.
Non si poteva oggettivamente andare in giro in queste condizioni, quindi la bici in garage ha iniziato a fondersi con la legna accatastata e negli ultimi 6 anni ha cambiato posizione solamente se dovevo prendere qualcosa dietro di essa. E un po’ di sana pigrizia endemica mi ha fatto trincerare dietro questa “scusa” per ridurre ulteriormente la mia attività fisica.
Beh, le cose prima o poi dovevano cambiare. E mia moglie, Santa Donna, ha colto il mio disagio (!) regalandomi per i 40 anni, con la complicità di sorella e cognato (che vive-per e lavora-con le due ruote), una Olympia Bull 27,5, mountain bike semi professionale che non mi ha lasciato scampo, privandomi di ogni appiglio plausibile.
ATTO I – La preparazione
Una bici di livello decente deve essere accompagnata da un abbigliamento adeguato. Le mie avventure ciclistiche 2.0 iniziano così da Decathlon, mecca degli sportivi indipendentemente dal livello di passione e perseveranza, in cui trovo un commesso disponibile, sequestrandolo letteralmente: “Ho la bici, la buona volontà e nient’altro. Che mi serve?”. Lui non sapeva, però, che avevo già consultato 4 esperti del ramo: il cognato1 già citato, il cognato2 ex-amatore in fase di stopermollaremapossoancorariprenderesesololovolessidavvero, il cugino semiprofessionista ed il collega triatleta – i quattro Cavalieri dell’Apocalisse Ciclistica. Tutti concordavano con il dover tener conto di una necessità suprema, infatti il consiglio principale era il seguente: “prendi subito i calzoni imbottiti altrimenti la prossima volta sul water sarai un uomo distrutto. E non risparmiare proprio su di essi!” (Noto che in ambito ciclistico, la parola “emorroidi” è dosata con cura e rispetto, con gli stessi riguardi che spettano al signore oscuro Voldemort).
Così dopo una serie di peripezie esco da Decathlon con l’abbigliamento base: una maglia termica rigorosamente nera in modo da non far notare eventuali imperfezioni di tessuto adiposo in zona lombare (a patto ovviamente di farmi guardare solo frontalmente), una salopette a pantalone lungo ben rinforzata nelle zone nobili ed una maglia in tessuto traspirante da mettere su. Mancano le scarpe, il casco e gli occhiali da strada: diamo tempo al tempo.
Il commesso, molto paziente, dopo avermi accompagnato per 20 minuti nella scelta di questi 3 elementi, non mi ha mandato a quel paese per puro miracolo, quando dopo avermi elencato le differenze fra 5 tipologie di maglie (antivento o meno, tessuti tecnici diversi, forma del collo e relative applicazioni, tipologia di tasche posteriori e chissà cos’altro adesso non mi ricordo), si è sentito dire, probabilmente dal lato femminile del mio cervello, “Vabbè, scelgo quella lì perchè si intona meglio con i colori della bici“, ignorando tutto ciò che mi aveva pazientemente spiegato.
ATTO II – Verso l’infinito
Così stamattina la sveglia domenicale alle sette è sembrata ancora più crudele del solito, anche perché non strettamente “necessaria” come quelle del lavoro. Inforcati i calzoni, indossate le maglie ed un cappello in pile, incassata la sottile risatina di mia moglie al vedermi così bardato, si sono spalancate le porte del mondo alla mia nuova esperienza da atleta.
Giusto che sappiate che il territorio delle falde dell’Etna in cui vivo sconosce il concetto di pianura, per cui chi esce in bici sa bene che almeno metà del suo percorso dovrà farlo in salita. E se sei alla prima pedalata dopo anni, diventi obbligato ad iniziare proprio in salita, perché in caso contrario prendi subito le discese, ti giochi immediatamente la parte “facile e divertente” delle discese ardite (ed alle sette del mattino a febbraio possibilmente anche un accidente) e poi le successive risalite rischiano di diventare un salto nel buio che non ti da certezze sul “quando” e, soprattutto, sul “se” ed “in che stato” tornerai a casa.
Il percorso previsto era di circa 15 km, con deviazioni occasionali che avrebbero potuto portare a il traguardo finale a 20. Sono partito alle 7.30 e sono arrivato nel punto più lontano in base alle mie previsioni iniziali (Viale dei pini di Nicolosi) alle 8.04, senza mai mettere eroicamente un piede per terra. Di lì poi l’illuminazione: prendere la SP92 e iniziare la scalata verso l’Etna, con pendenze significativamente più elevate, almeno finchè le gambe reggono. In fondo, se qualche anno fa l’ha fatta Contador, perchè non avrei dovuto riuscirci io?
500 metri dopo, avevo già la lingua a penzoloni e vissuto le prime visioni mistiche: prima La Madonna del Ghisallo, protettrice dei ciclisti, che mi aspettava al Rifugio Sapienza, quota 2125, con la cioccolata calda; poi un gruppo di bambini che mi correva accanto e mi offriva panzerotti e cornetti caldi; infine una cospicua carovana di ciclisti che mi superava a velocità tripla, ridendo e scherzando, mentre io soffrivo già le pene dell’inferno.
In quel momento ho compreso, combattuto sulla effettiva visione reale o meno di quest’ultima scena, di aver raggiunto e superato il limite fisico e psicologico per la prima uscita. Quindi, inversione ad U e, pian piano, ho iniziato la discesa verso casa, con opportune deviazioni in cui ho persino sperimentato un po’ di fuori strada inerpicandomi, fra basole di pietra lavica al 15% di pendenza, sul cratere vulcanico di monte Troina a Pedara, facendo un po’ di sterrato in vetta.
Complessivamente stamattina ho percorso circa 25km di saliscendi, in 75 minuti al netto delle pause.
EPILOGO
Considerazioni sparse:
- Sono sopravvissuto, innanzitutto. Niente di eroico, niente di clamoroso, solo un po’ di fatica che mi dicono che fa parte del gioco. I 4 esperti di cui sopra mi riferiscono che la fatica è anche l’aspetto piacevole del ciclismo. Beh, su questo ci devo ancora lavorare.
- L’abbigliamento corretto e la bici forniscono autorevolezza al ciclista amatoriale, introducendolo alla comunità dei bikers. I gruppi di ciclisti si salutano per strada, scambiano quattro chiacchiere nei momenti di pausa anche con gli sconosciuti dell’ambiente come me. D’un tratto ho smesso di guardarli come un fastidioso assembramento sulla carreggiata che ti impedisce di procedere in auto a velocità spedita. Hanno acquistano una nuova condizione di umanità e rispetto.
- Tornato a casa, avrei mangiato pure le sedie, ma sono riuscito a contenermi. Però non è estate, non c’è la tentazione della granita: quello sarà il vero banco di prova. In compenso durante la prima salita ho ripetutamente pensato al fatto che ieri sera, sono uscito di casa per prendere un po’ di pane per la cena e sono tornato con tre pizze siciliane.
- Mi sento in colpa nei confronti della vecchia bicicletta. Sarò un sentimentalista, ma mi incupisce saperla in garage, con la sua ruggine e i suoi acciacchi, appoggiata tristemente al legname… mentre la nuova arrivata è coperta da un telo e riposta sottochiave in un ambiente sicuro. Mia moglie mi ha già detto che non accetterà un trattamento simile in futuro. Valle a capire…
- A distanza di 10 ore, sento nuovamente quasi tutte le ossa e i muscoli. Ho avuto appena qualche dubbio (ed avvertito qualche scricchiolio) sulle vertebre lombari poco dopo il rientro.
- Lo rifarò, sicuramente. Magari anche con una buona regolarità. Ma sono inquietantemente confortato dal fatto che la prossima occasione per uscire in bici non arriverà prima di sabato prossimo.
- Ho quarant’anni da appena 6 giorni. Ma dentro (molto dentro) sono ancora un ragazzino.
Riflessione semiseria sui quarant’anni.
Ho passato una brutta mezzoretta circa una settimana fa, la sera prima del compleanno, in cui si affollavano cupi pensieri di scollinamenti, di secondi tempi e di inarrestabili clessidre.
Il segreto, come sempre, è non pensarci troppo. E mettersi a sparare a dei supermutanti in un videogame mi ha istantaneamente aiutato.
La torta della copertina è presa chissà dove da Internet, se ho leso i diritti di qualcuno, la tolgo immediatamente. Ma se mi leggete in 20, come al solito, non è un problema grave.
Commenti
Sei un grande
Due ragazzi del borgo cresciuti troppo in fretta
Un’unica passione per la bicicletta
Un incrocio di destini in una strana storia
Di cui nei giorni nostri si è persa la memoria
Una storia d’altri tempi, di prima del motore
Quando si correva per rabbia o per amore
Ma fra rabbia ed amore il distacco già cresce
E chi sarà il campione già si capisce.
Vai Girardengo, vai grande campione !
Nessuno ti segue su quello stradone.
Vai Girardengo ! Non si vede più Sante
È dietro a quella curva, è sempre più distante
E dietro alla curva del tempo che vola
C’è Sante in bicicletta e in mano ha una pistola
Se di notte è inseguito spara
E centra ogni fanale
Sante il bandito ha una mira eccezionale
E lo sanno le banche e lo sa la Questura
Sante il bandito mette proprio paura
E non servono le taglie e non basta il coraggio
Sante il bandito ha troppo vantaggio
Fun antica miseria od un torto subito
A fare del ragazzo un feroce bandito
Ma al proprio destino nessuno gli sfugge
Cercavi giustizia ma trovasti la Legge
Ma un bravo poliziotto
Che conosce il suo mestiere
Sa che ogni uomo ha un vizio
Che lo farà cadere
E ti fece cadere la tua grande passione
Di aspettare l’arrivo dell’amico campione
Quel traguardo volante ti vide in manette
Brillavano al sole come due biciclette
Sante Pollastri il tuo Giro è finito
E già si racconta che qualcuno ha tradito
Vai Girardengo, vai grande campione !
Nessuno ti segue su quello stradone
Vai Girardengo ! Non si vede più Sante
È sempre più lontano, sempre più distante
Sempre più lontano, sempre più distante…
Scegli tu chi essere tra il bandito e il campione, a chi ti senti più vicino… dal mio punto di vista e per motivi diversi sono affascinanti tutti e due.
Quarant’anni sono belli e, come qualsiasi età, vengono una volta sola; in questa fase, in linea di massima, uno ha raggiunto una certa indipendenza economica, ha creato una famiglia, lavorativamente parlando si dovrebbero aver raggiunto discreti traguardi, gli eventuali debiti per mutui, rate, etc. si stanno lentamente diradando… e quindi è giunto il momento di GODERSI QUANTO DI BELLO SI E’ RIUSCITI A COSTRUIRE.
Vai Alfredo, vai grande campione…
del Post
Mi aspettavo un “vai, Alfredengo…” 😀
sei forte!
Scrivi bene e mi fai scompisciare!
Simona
del Post
Grazie mille! Domattina andrò a fare un giro in bici. Se mi sveglierò in tempo, se ci sarà bel tempo ma non troppo, se ne avrò voglia…ecc. ecc. (pensieri da sportivo modello, vedi?)
Pingback: Sindrome da quarantenni/1 – Hai voluto la bicicletta? E ora… – Back to the Blog
Pingback: 12 buoni motivi per andare in Valle d’Aosta – Il Blog che viaggia nel mio tempo… ridendoci un po' su