Lettere a mio figlio: il Campetto, la Regata e le Notti Magiche

L’ultima campanella dell’ultimo giorno di scuola dei miei 14 anni non la dimenticherò mai. Innanzitutto, perché da poco era stata sostituita dal mio lungimirante dirigente scolastico – a quel tempo si chiamava ancora “Preside” – con una sirena da rifugio antiatomico che si sentiva in tutta Acireale e paesi limitrofi, tanto che qualche anziano con ricordi della seconda guerra mondiale si sarà giustamente lamentato nelle sedi opportune. Io e Guido, zainetti semivuoti in spalla, correvamo su per la rampa d’uscita del Liceo Scientifico pensando già a cosa inventarci nel pomeriggio, insieme a Giuseppe e gli altri amici;

La lunga estate iniziava per noi proprio quel 9 Giugno: sarebbero stati tre mesi di giochi, di passeggiate in bici, di partite di calcio su campi irregolari e polverosi, ricavati nella radura del un boschetto vicino casa che cominciavano alle tre del pomeriggio e finivano quando noi stessi non riconoscevamo più il colore della nostra pelle.

Non c’erano ancora i cellulari, i videogiochi si limitavano al fruscìo del Commodore 64, i pensieri rivolti alle ragazze erano ancora piuttosto lontani (per loro scelta, principalmente), internet era solamente una proto-rete di computer oltreoceano a cui avevano il privilegio di accedere poche prestigiose università.

Era davvero un’altra epoca, il mondo si rivolgeva a noi ragazzi solamente attraverso la TV.

Quel giorno, però, sapevamo che si sarebbe trattato di una estate diversa dalle altre. Era il 1990. Era l’estate dei mondiali, quella del “Nostro” mondiale: Italia ’90.


Forse non sarà una canzoneA cambiare le regole del giocoMa voglio viverla così quest’avventuraSenza frontiere e con il cuore in gola


Le immagini della mascotte “Ciao” – non siamo mai stati un paese che ha brillato nella scelta dei nomi – erano dappertutto: cartelloni, merendine, piazze, etichette di ogni genere, persino sulla carrozzeria dei motorini come il “Sì” o il modello “Ciao” della Piaggio (fantasia zero, per l’appunto) i più trendy dell’epoca ci avevano piazzato l’adesivo. Le voci di Gianna Nannini ed Edoardo Bennato erano la colonna sonora di ogni momento della nostra giornata: la cantavamo noi, la passavano alla tv, si sentiva nei negozi, ci svegliava nel sonno mentre durante la notte. Quella sera sarebbero iniziate le Notti Magiche ed io, con i miei amici cresciuti a Nutella e figurine, non vedevamo l’ora di iniziare a sognare. Persino i miei genitori, che di calcio ne masticavano poco – la passione in famiglia ha saltato una generazione -, parlavano spesso a tavola del mondiale che stava per iniziare. Il mister Azeglio Vicini, con quel suo nome vagamente risorgimentale era un volto familiare, come quello di un vecchio zio che bussava a casa ogni giorno ad ora di pranzo.

La splendida mascotte “Ciao”. Per scegliere il nome ci fu anche un referendum. Le alternative erano “Amico, “Beniamino” (?), “Bimbo”, “Ciao e “Dribbly”

La sera prima avevamo visto nelle nostre case la sontuosa cerimonia d’apertura a Milano e poi la prima partita, in cui uno sconosciuto camerunense sembrò ergersi fino al cielo per affondare con il suo colpo di testa la temibile Argentina campione in carica guidata dal più grande Maradona che si ricordi, appena laureatosi campione di Italia con il Napoli. Eravamo esaltatissimi, si respirava magia, sembrava un momento in cui anche i sogni più arditi potessero diventare realtà.

L’Italia ancora ricordava cosa fosse la gioia. L’eco del trionfo del 1982 non si era ancora sopita; “i grandi” richiamavano la vittoria sul Brasile, i gol di Paolo Rossi, quel Bruno Conti che volava sulla fascia, i sussurri delle loro mogli che si dicevano sottovoce: “Che bono quel Cabrini!“. Ero solo un bambino allora, con ricordi vaghi e la semplice percezione di un gran casino fatto da 20 persone nella stanzetta di mia cugina, dove c’era il televisore più grande dell’intera famiglia di mia madre. Si narra che il livello esagerato di esultanza e partecipazione emotiva li fece illudere che l’Italia batté il Brasile 4-2, anziché 3-2, e che scoprirono solo l’indomani, leggendo i quotidiani, che il gol di Antognoni a 2 minuti dalla fine era stato annullato.

Quel pomeriggio, quando con Giuseppe e Guido tornammo dal boschetto, il papà di quest’ultimo ebbe una illuminazione: “stasera vi porto a vedere la partita al maxischermo!“. Volai in bicicletta a casa – un km circa in meno di due minuti – per chiedere il permesso ai miei genitori, presentandomi a loro totalmente lercio, ricoperto di terra, con un ginocchio sbucciato e gli occhialoni enormi di forma quasi quadrata talmente sporchi che si intuiva a malapena la presenza dei miei occhioni dietro, pieni di speranza. La risposta, alle 19.30, fu un “si, certo“, condizionato alla necessità di rendermi nuovamente presentabile entro le 20.15. La partita, Italia – Austria, iniziava alle 21.00 e non avevo minimamente idea di dove si trovasse questo maxischermo.

Al suonare del citofono, 20.35, ero tirato a lucido, pantaloncini corti e canotta d’ordinanza – perché quelle notti erano sì magiche, ma anche calde asfissianti – e un bandierone tricolore avvolto sulle spalle, furtivamente sottratto dalla cassapanca della nonna che fino a quel momento era stato utilizzato solamente al passaggio della “vara” di Sant’Alfio, durante la festa del paese (che poi, per inciso, che legame ci fosse fra la festa religiosa e la bandiera italiana sul balcone non l’ho mai capito).


E il mondo in una giostra di coloriE il vento accarezza le bandiereArriva un brivido e ti trascina viaE scioglie in un abbraccio la follia


Un adulto e tre quattordicenni, su una FIAT Regata color grigio topo, stavamo volando verso la nostra prima Notte Magica. In auto, per qualche strano motivo, suonava una musicassetta anni ’70. Kate Bush e la sua voce in falsetto in “Wuthering Heights“, e poi Marvin Gaye, i Beach Boys, Donna Summer… Molti generi musicali, ritmati con maestria dal padre di Guido che scandiva ogni attacco di batteria con una sonora manata sulla coscia di Giuseppe, sapientemente posizionato sul sedile passeggero per la sua migliore sonorità (si, non ebbi mai alcun interesse a fargli cambiare questa idea). No, non pensate male, non si tratta di una molestia ai danni di un minorenne, bensì di un’espressione artistica giocosa, in quanto le forme assunte dalle ripetute di cinque dita rosso porpora stampate sulla pelle a fine tragitto potevano benissimo essere esposte ad un museo di arte contemporanea.

Arrivammo al maxi schermo, che scoprimmo situato nella piazzetta del comune di Mascalucia, in ritardo. La partita era iniziata da qualche minuto e in quella gradinata quasi amatoriale realizzata con tubi e assi di legno collegati in modo… “creativo”, senza protezioni laterali e posteriori, al centinaio di persone sedute sopra non importava di rischiare la vita; i posti disponibili erano ormai pochi e decentrati; noi ragazzi decidemmo di gettarci per terra, sotto la prima fila, a guardare dal basso verso l’alto il grande schermo come se fossimo seduti a bordocampo, anche noi parte attiva del grande spettacolo.

Iniziava così, per noi quattordicenni del 1990, la grande storia di quel mondiale: i gol e gli occhi di Totò Schillaci, le luci del primo Baggio, la voce familiare di Bruno Pizzul, il paese in festa ad ogni vittoria, i caroselli con le auto in città.

Che meraviglia, questi due!

Nei nostri occhi da adolescenti vedevamo un’Italia nazione ancora più brillante dell’Italia squadra. Non capivamo ancora molto di politica e di problemi sociali , tangentopoli doveva ancora esplodere e le stragi di mafia erano distanti qualche anno. Noi vedevamo solo un intero popolo gioire unito e sapevamo di avere un futuro davanti che poteva offrirci qualsiasi cosa. In fondo, quel mondiale avrebbe potuto esserne solamente l’inizio.

Quando il sogno svanì, il 3 Luglio a Napoli contro l’Argentina, passata l’amarezza dei primi momenti (ok, forse parliamo di settimane o mesi), restò l’emozione e la consapevolezza di aver vissuto un mese di pura ed assoluta magia.

Oggi, 32 anni dopo, in un mondo totalmente diverso, mi emoziono ancora passando in quella piazzetta di Mascalucia, riascoltando quel pezzo di Kate Bush e persino incontrando talvolta il padre di Guido mentre fa colazione al bar di Pedara (sedendomi sempre fuori dalla portata delle sue manone). Cerco ancora con lo sguardo la sua Regata grigia posteggiata fuori dal bar. Ok, possibilmente l’avrà fatta rottamare 25 anni fa, ma che importa? Un pezzo di me è ancora lì dentro, il quattordicenne con gli occhiali da Mike Buongiorno intento a vivere il più grande sogno dell’estate.


Notti magicheInseguendo un goalSotto il cieloDi un’estate italiana
E negli occhi tuoiVoglia di vincereUn’estateUn’avventura in più

 


 

 

EPILOGO

Con nostalgia, adesso penso al mondiale in Qatar che sta per cominciare. Sintesi suprema della consacrazione a livello globale di un concetto socio-politico in verità piuttosto elementare: “Il denaro può comprare tutto ciò che vuole” e, soprattutto, senza Italia per la seconda volta consecutiva.

No, non è passata la fase della rabbia per questa seconda assenza di fila. Ancora, davvero, non me ne capacito, per le modalità con cui è avvenuta, per quanto siamo andati ripetutamente vicini alla qualificazione e del perché coloro che a vario titolo possono ritenersi responsabili di un fallimento siano ancora saldamente al loro posto. Me ne farò una ragione, osserverò con distacco ciò che avverrà nelle prime fasi, anche se temo che poi finirò per farmi coinvolgere e guarderò la fase finale, seppur con il commento della Gialappa’s (possibilmente tifando contro la Francia, come da tradizione).

Soprattutto però penso che a guidare l’auto verso la piazza con il maxischermo da 25 metri, il cinema in cui vedere la partita in UltraHD HiSense o persino nella realtà virtuale di una curva nel Metaverso, avrei potuto esserci io, accompagnando mio figlio e i suoi amici a vivere questa esperienza. Al posto della Regata ci sarebbe la mia “BluDenim“, la musica strana non verrebbe fuori da una cassetta ma da Spotify e il navigatore integrato ci avrebbe fatti arrivare puntuali diversi minuti prima della partita. Le emozioni, la passione, il cuore, la voglia irrefrenabile di abbracciare lo sconosciuto vicino di posto sarebbe stato ancora una volta tutto uguale, splendido come al tempo!

Oggi mio figlio ha 13 anni, quasi la stessa mia età al tempo di Italia ’90, e non ha praticamente mai visto un mondiale di calcio, né ne ha mai vissuto la magia. Certo, ho omesso volontariamente di raccontargli come, negli altri due mondiali in cui la sua presenza allietava già il nostro mondo, siamo stati malamente eliminati ai gironi da due non certo irresistibili potenze mondiali quali la Slovacchia e il Costa Rica. Quantomeno, il non aver ereditato la mia passione (il famoso salto generazionale di cui vi parlavo prima), probabilmente gli farà vivere serenamente questo periodo, come in fondo è giusto che sia.

Però…

però…

lascio a Totò l’ultima parola.

 

…che §%$£%$ ci voleva a segnare uno di quei rigori, Jorginho?

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NOTE

Si tratta del seguito ideale del più celebrato “Lettere a mia figlia: il lattuccio, le lacrime e Zidane“, che ricorda un altro momento felice legato ai campionati del mondo di Calcio: la sera vittoriosa della finale 2006.

I fatti narrati corrispondono ad esperienze reali e a personaggi non di fantasia. Allo stesso modo è stata reale l’eliminazione per conto dell’Argentina che ha interrotto il nostro giovane sogno.

L’immagine di copertina del buon Totò, el gran visir de tücc i terun, è presa dalla rete, ma chiaramente se l’interessato la volesse rimossa, sarò lieto di farlo in cambio di una chiacchierata insieme con pane e panelle fra le mani.

Infine tu, caro amico. Se sei arrivato fin qui nella lettura, spero ti sia divertito e/o riconosciuto nelle mie parole. Come scrivo spesso nei miei articoli – accidenti, l’ho fatto anche stavolta, devo essere ai limiti dell’ossessione -, il tempo è la risorsa più preziosa che abbiamo. Grazie per averne dedicato un po’ del tuo ai miei pensieri.


BackToTheBlog, 17/11/2022


 

 

 

Commenti

  1. Vera Cristaldi

    Stessi ricordi e stesse emozioni…
    Super poster della Nazionale attaccato in camera…
    Grazie x avermi fatto rivivere momenti ormai nascosti nella memoria.
    Inutile ripeterti che devi pubblicare 😉

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