Il prof emigrante – Il fondamentalista cattolico e l’arabo felice (Dal day 70 al day 79)

Day 75

Gli occhi del padre

10/11/2016
(Live aeroportuale n.11)
Come al solito l’aereo parte alle 12.55 e adesso (11.44) c’è già gente in fila.

Osservo un signore anziano di fronte a me, sarà sicuramente vicino ai 90. Guarda la fila, in cui il figlio sui 60 (lo so perchè si sono parlati poco fa) chiacchiera con un giovane sui 35 intento a guardare il proprio telefonino mentre un bambino gli ronza intorno.

Mi piace pensare, non avendone la certezza, che siano 4 generazioni della stessa famiglia pronte a viaggiare insieme per un motivo (spero) felice.

Torno con la mente ad uno degli interminabili viaggi in auto che a 12 anni mi portarono dalla Sicilia al Veneto quando a mia madre fu assegnata la presidenza di una scuola in provincia di Treviso.

(Si, sono doppiamente “figlio d’arte” sia come prof – da entrambi i genitori – che come prof emigrante)

Ricordo distintamente quei giorni/settimane passati lì, a volte con mio padre, più spesso con mio nonno, mentre mamma lavorava a scuola. Scoprire un territorio con lunghe passeggiate, conoscere nuovi panorami (piatti), imparare nuove abitudini… persino vedere una commedia in teatro dialettale della quale avrò capito si e no… “si” e “no“, ovvero gli unici fonemi che restavano uguali.

28 anni dopo la storia si ripete. Io protagonista del trasferimento, al posto dell’Italia da attraversare su una vecchia Fiat Uno c’è un passaggio su una compagnia aerea rumena o irlandese (alla faccia del potere economico dell’Europa centrale), al posto di lunghi periodi di distacco, ci sono molti break settimanali.

Motore diesel dal cui scappamento si generavano nuvole da temporale, protoclimatizzazione interna derivante dal sudore umano, capacità di bagagliaio limitata solo dalla capacità di carico della scocca perchè si legava tutto sul tetto fino a creare piramidi, velocità massima 120 km/h e al massimo dei giri ti sentivano scendere dal traghetto già dalla Svizzera.

I miei genitori mi hanno accompagnato anche oggi in aeroporto e mi hanno salutato con affetto e senza lasciar trapelare sensazioni negative, conoscendo benissimo ciò che provo e il dolore del distacco che sente Lei, pronta a sobbarcarsi un’altra settimana di casa/bambini/lavoro in solitudine. Sanno bene cosa dire e cosa soprattutto non dire. Nei loro occhi vedo comunque un po’ di orgoglio, un po’ di compassione, un po’ di… dolore nel sapermi lontano anche da loro, con l’età che inesorabilmente avanza.

Mi rivedo in loro fra qualche anno, se i miei figli decideranno di andare a studiare fuori o riceveranno allettanti offerte di lavoro che li condurranno lontani da noi.

La vita è una ruota che gira“, quante volte lo diciamo? È maledettamente vero e spesso ti mette a distanza di anni a recitare in ruoli diversi nella trama della stessa commedia.

Per cui…

-cambio di tono –

…visto che che da questa manifestazione del “destino” non sono riuscito a fuggire, tanto vale che ne porti con me anche qualcuno degli effetti positivi.

E il blog può essere usato per un nobile scopo.

Parte oggi la campagna di sensibilizzazione per convincere i miei genitori (che mi leggono) (e mi chiamano per correggere eventuali errori di grammatica) (e per rimproverarmi se trovano qualcosa di sconveniente nelle mie parole) () a farsi fare un biglietto aereo e venire a trascorrere una settimana con me.

Cari proffollowers, vi chiedo di lanciare singolarmente un appello nei commenti che possa giungere al loro cuore e farli smuovere dalla loro – errata – convinzione di esser troppo in là con gli anni per prendere l’aereo e lanciarsi in questa breve avventura lontano da casa.

Ho bisogno del contributo di ognuno di voi. Confido nelle vostre capacità.

Il prof emigrante

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Note:

1) Siate convincenti, persuasivi, diretti, delicati, esaustivi e, perché no, spudoratamente ruffiani…

L’osso più duro è mia madre. Se fate breccia in lei, è fatta.

Buona fortuna!

2) ovviamente vorrò provare questa esperienza anche con i miei figli. Ma per convincere Lei, dovrò lavorare da solo, in modo certosino. Conto di farcela, prima o poi

3) sono in fila anche io, il quasinovantenne è ancora seduto, sta armeggiando con il telefonino. Sembra proprio… non ci credo… sta giocando a Candy Crush!

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